LA MONACA DI MONZA SECONDO LA NUOVA VISIONE DI MATTEO STRUKUL.
Marianna de Leyva, feudataria di Monza, figlia del conte
Martin de Leyva y de La Cueva – Cabrera, decisamente più nota con il nome di
monaca di Monza, ha sicuramente rivestito un ruolo di primo piano in una breve parentesi
storica del panorama italiano seicentesco.
Matteo Strukul con il suo romanzo, Marianna. Io sono la monaca
di Monza, edito da NordSud di Salani restituisce ai lettori l’immagine di una giovane donna
ribelle, votata a Dio per volere del nobile casato ma dal carattere determinato,
dirompente, a tratti persino folle.
Il volume si articola in cinque diversi momenti (parti che
dir si voglia): inquietudine, depravazione, malvagità, condanna e infine
epilogo. In ognuno di essi, l’autore traccia il profilo psicologico di Marianna, dalla sua ascesa per raggiungere il potere e soddisfare ogni suo desiderio, fino
al disfacimento completo della propria anima.
La narrazione incomincia con la trasposizione dei ricordi di
Marianna (suor Virginia Maria per le sue consorelle benedettine) e si lega, in
particolare, all’episodio che ne segna irrimediabilmente l'intera esistenza:
l’incontro fortuito con Gian Paolo Osio, rampollo di una delle famiglie più
potenti di Monza.
Le mire dell'avvenente Osio, tuttavia, sembrano essere
decisamente più audaci poiché, pochissimi momenti dopo, virano dalla inesperta Isabella proprio su suor Virginia, la quale rimane profondamente turbata da quel giovanotto
così sfrontato.
La casuale conoscenza intacca la psiche della religiosa che
incomincia a fare strani sogni, ad immaginare la sua esistenza fuori dalle mura del
convento e punisce ingiustamente, per incontrollata gelosia, ogni consorella che viene irretita da Gian
Paolo.
Un fatto, in particolare, costituisce la chiave di Volta della vicenda: l’assassinio di Giuseppe Molteno, suo zelante servitore ed anche suo instancabile (e mai ricambiato) corteggiatore. Numerose sono le congetture che sorgono in merito alla sanguinosa vicenda: un delitto compiuto per difendere l’onore, una ripicca nei confronti di suor Virginia, o peggio, uno stratagemma orrendo per attirare la sua attenzione.
Suor Virginia è turbata: solamente un folle potrebbe sfidare il potere
della sua famiglia fuori dalle mura di Santa Margherita e quello suo all’interno. La
scoperta dell’uccisore la lascia sbalordita, gelandole ogni goccia di sangue
nelle vene: Gian Paolo Osio.
La donna vacilla, si raccoglie in preghiera nel tentativo di allontanare da se stessa quello che ella definisce un demonio, si infligge dolorosi castighi corporali, digiuna, rifiuta di parlare ed alla fine si convince a denunciare Gian Paolo alle autorità. All’apparenza, per puro desio di giustizia per il suo povero servo ma, in realtà, per restare al sicuro all’interno delle soffocanti pareti benedettine. Osio la tenta, la sua malia la seduce, la sua brama di sangue non la spaventa, tutt’altro. Addirittura l’attira come fosse una disgraziata calamita e così «la sventurata rispose», per utilizzare il famoso aforisma di manzoniana memoria.
Il perfido Osio ha già tessuto la sua fitta trama di
inganni e alla fine, grazie all’intercessione e alle velate minacce di sua madre rivolte proprio a Marianna/suor Virginia, riesce a scampare alla galera.
A questo punto, succube e affascinata dall'enorme potere della famiglia Osio, le difese della religiosa si abbassano repentinamente. I due
incominciano a scambiare sguardi furtivi in più occasioni, lettere ardenti, arrivano a vedersi di
nascosto nel giardino per poi giungere al momento dell’incontro vero e proprio quando,
sfruttando la complicità delle consorelle Ottavia e Benedetta e del parroco corrotto
don Paolo Arrigone, Marianna/suor Virginia e Gian Paolo consumano la propria passione carnale
senza più frenarsi.
La giovane si sente spaurita eppure viva, ardente come fiamma. Ha scoperto le brame
e le seduzioni della lussuria e non riesce più a farne a meno. Un nuovo sangue le inebria il corpo e qualcosa di incontrollabile la domina e la sovrasta.
Tuttavia, il suo desiderio di riscoperta delle gioie della femminilità è ostacolato dalla superiora, suor Imbersaga, la quale incomincia a sospettare della sua riprovevole condotta.
Ma un altro avvenimento gioca a favore della “sventurata”: infatti, alle
nuove elezioni capitolari, suor Virginia Maria riesce a farsi promuovere
vicaria mentre suor Imbersaga viene sostituita da una nuova e decisamente meno
zelante superiora.
Incomincia il periodo in cui Marianna/suor Virginia perde definitivamente
ogni freno: forte del potere conquistato all’interno del convento, ella diventa
ancora più audace e spregiudicata. Consente a Gian Paolo di recarsi nella sua
stanza, si abbandona a lui completamente e permette persino alle consorelle fidate
di giacere con il proprio amante senza la minima remora.
La scoperta della prima gravidanza non la scalfisce, come neppure la morte del bambino che porta in grembo, al quale riesce a regalare solamente un misero pensiero di biasimo. Anzi, per citare Marie de Vichy: «Le donne non sono mai così forti come quando si armano della loro debolezza». Ed infatti, Marianna/suor Virginia non riesce a pentirsi delle sue scelte scellerate: anche dopo la perdita di suo figlio, continua a incontrare furtivamente Gian Paolo e a darsi con tutta se stessa all’amore folle che prova per lui. Così, giunge per naturale conseguenza una seconda gravidanza, al termine della quale nasce una bimba sana che viene chiamata Alma e che verrà poi affidata alle cure di una famiglia milanese.
Nel frattempo, gli eventi precipitano e l’arrivo di una nuova novizia, suor Caterina
da Meda, sconvolge i piani lussuriosi di Marianna/suor Virginia, delle sue conniventi consorelle Ottavia e Benedetta e di Gian Paolo. La novizia è infatti piuttosto scaltra, scopre ogni cosa e minaccia di denunciare ogni indicibile atto compiuto alla superiora. E' il definitivo orrido: la morte efferata di Caterina cagionata dalla mano armata dell’Osio innesca una vera e propria
reazione a catena intrisa di sangue, dissolutezza, morti innocenti e violenze
efferate.
Condannata ad essere murata viva nel 1608, per i misfatti di
cui si è resa responsabile dal cardinale Federico Borromeo in persona (che aveva tra l’altro
precedentemente ingannato), Marianna non si pentirà mai del sentimento malato
provato per Gian Paolo Osio e trascorrerà il resto dei suoi giorni in totale
cecità in compagnia degli spettri del suo passato.
«“Cinque braccia per tre”: tanto è grande il mio universo, oggi. Ed è quello che merito, poiché in uno spazio maggiore distruggerei le vite degli altri. Proprio come ho fatto in passato. Ora, però, sono chiusa in questo recinto di pietra e non rappresento più un pericolo per nessuno. Non posso fare altro male. Perché ne ho fatto fin troppo».
L’opera in parola rappresenta, senza dubbio, una testimonianza
straordinariamente vivida di un evento storico che Alessandro Manzoni ci ha
restituito in forma romanzata ne I promessi sposi e che, molto spesso, si fa fatica
ad inquadrare tra i fatti realmente accaduti.
In verità, come conferma la ricca storiografia che l’autore
ha consultato per la redazione di questo testo (e della quale offre contezza ai
propri lettori nelle pagine in appendice), la trista vicenda della monaca di
Monza si è certamente consumata e risulta rintracciabile in prove documentali.
Marianna è anzitutto una donna assetata di vita, alla quale la vita è stata sottratta per volere della famiglia che da sempre l’aveva iniziata alle rigide regole monacali. Ma ella è giovane indomabile, conscia del prestigio delle sue nobili origini, fiera della sua bellezza e del potere delle sue arti seduttive, le quali, come è stato sottolineato, la porteranno infine alla deriva.
La monaca di Monza che Strukul ci restituisce è decisamente diversa
da quella delineata dal Manzoni: è donna multiforme, femmina sedotta dal
fascino maschile ed alla fine angelo caduto nell’oblio della lussuria; corrotta
dalla forza bruta e dai disegni criminosi del suo amante; abile manipolatrice
di animi e coscienze. La Gertrude manzoniana è ben lontana da questa visione di
complessità, seppure indubbiamente conservi quegli elementi di ambiguità e fascinazione
che ne fondano le origini malvagie.
La scrittura di Matteo Strukul è oltremodo performante, non degenera
mai nella prevedibilità del volgare che pure il tema potrebbe indicare. I dialoghi
sono fluidi e ben congeniati, la struttura dei personaggi è costruita in modo da
risultare calzante con la narrazione storica. Di fortissimo impatto è l'incontro tra suor Virginia e il cardinale Federico Borromeo del quale colpisce la profondità del sentimento cristiano che egli incarna in quanto ministro di Dio sulla Terra.
Così come la saga de I Medici, Marianna. Io sono la monaca di Monza, non è soltanto una lettura piacevole ma assurge alla qualifica di vero e proprio documento. Si tratta di un volume di cui è vivamente consigliato lo studio da parte di coloro i quali non
sono soliti soffermarsi sulla superficie delle cose, ma preferiscono scavarvi a
fondo per ricercarvi altre verità.
Ilina Sancineti
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