IL PONTE DEI DELITTI DI VENEZIA: INSUPERABILE MATTEO STRUKUL.

 

Jane Austen affermava: "Per quanto mi riguarda, se un libro è scritto bene, lo trovo sempre troppo breve".
Ebbene, ogniqualvolta mi avvicino ai lavori del talentuoso Matteo Strukul resto estasiata dall’enorme potenziale che scorre nelle vene (e nella penna) di questo eclettico autore nostrano.

Colpita dalla fedele riproduzione delle vicende storiche della Firenze medicea costruita in maniera magistrale nella saga monumentale I Medici (alla quale, tra l’altro, è ispirata l’omonima serie televisiva che qualche anno fa ebbe un enorme successo), non posso che rinnovare il giudizio positivo nei confronti della nuova opera dell'Autore veneziano edita da Newton Compton: Il ponte dei delitti di Venezia.

Protagonista assoluto dei nuovi giochi di potere che si stanno approntando sul fragile e movimentato scacchiere della Serenissima è il geniale pittore Giovanni Antonio Canal, detto Il Canaletto, il quale, suo malgrado, si ritrova invischiato nel brutale omicidio di un notabile della città: l’uomo è stato barbaramente dissanguato e il suo assassino si è premurato di lasciare sul cadavere un biglietto recante l’inquietante messaggio “Canaletto”.

Si tratta di una sfida in piena regola lanciata al pittore ed è proprio da questa enigmatica e sanguinosa vicenda che prende corpo la trama del romanzo.

Grazie al supporto dei suoi amici più fedeli, tali Owen McSwiney, Joseph Smith e l’amatissima (a tratti irraggiungibile) Charlotte von der Schulenburg (figlia dell’eroe veneziano Johann Matthias von der Schulenburg), Canaletto  arriva ben presto all’amara conclusione che dietro al macabro assassinio non può esserci altro che una sua vecchia e temibile conoscenza: Olaf Teufel. Si tratta di uomo sfuggente dal passato nebuloso che, pochi anni prima, con le sue discutibili gesta aveva tentato di gettare la bella città lagunare nel caos e mettere in pericolo la vita di Charlotte.

L’indagine si sviluppa su più fronti e, seppure improvvisato investigatore, Canaletto non si risparmia mettendo anche a disposizione della gendarmeria veneziana la sua arte. I suoi preziosissimi scaraboti si rivelano, infatti, delle vere e proprie linee guida per la ricerca del colpevole.

«Erano schizzi a mano libera, che tuttavia cercavano di dare all’osservatore una pluralità di punti di vista, con primi piani, ingrandimenti, visioni d’insieme, panoramiche. In questo modo, Canaletto otteneva una specie di universo visionario del delitto su carta»


Durante la turbolenta ricerca, l’audace pittore avrà modo di fronteggiare diversi antagonisti, tra i quali assume un rilievo a dir poco essenziale (forse in considerazione di un sequel dell’opera?) l’avvenente e terribile baronessa Orsolya Esterházy.

Di lei, l’abate Giacomo Renovati confessa nel testo: «Quel che mi preme dirvi è che è come se ella fosse ammantata d’un che di pericoloso se non di apertamente maligno, di malato se non di infestante».

L’enigmatica nobildonna sembrerebbe essere legata in qualche maniera all’imprendibile Teufel e, con le sue illazioni solo all'apparenza deliranti, arriva a instillare nell’animo del Canaletto e dei suoi amici un pericolosissimo seme: quello della paura.

Ella, difatti, sostiene che Teufel sia un Vukodlakovvero un essere demoniaco in grado di dannare l'esistenza delle creature umane prosciugandole del loro liquido vitale attraverso morsi spaventosi.

È qui che l’autore compie un’operazione che ho particolarmente apprezzato: crea un connubio originalissimo tra i tristi fatti veneziani che egli sta intessendo con maestria e il folklore dell’est Europa tracciando, neppure poco velatamente, i profili di quelli che nella letteratura contemporanea non sono altro che i "risorgenti". In altre parole: i vampiri.

Sebbene piuttosto astrusa, l'orribile tesi avvalorata dalla baronessa sembrerebbe trovare conferma nei due fori rivenuti sul collo della prima vittima e in quelli ritrovati sul corpo di una seconda, scoperta completamente dissanguata presso il Ponte delle Guglie.

Tuttavia, il medico Isaac Liebemann, altro intimo amico di Antonio Canal, non è affatto convinto dell’ipotesi fantasiosa della Esterházy che rischia di attentare alla quiete della popolazione e alla stabilità politica della Serenissima e si determina a iniziare per conto proprio un altro tipo di ricerca: quella scientifica. Quest'ultima non mancherà di produrre i propri risultati a tempo debito e celerà risvolti addirittura peggiori di quelli prospettati in precedenza e ammantati dalle ombre del mito.

Intanto, la vicenda assume contorni sempre più foschi a seguito dell’incendio doloso della fornace di proprietà di Charlotte e del rapimento della sua apprendista: la giovanissima Colombina. Funesti sono gli esiti delle cose e altrettanto funesto sarà l’epilogo della quotidianità della povera operaia, vittima innocente e incolpevole portatrice del vero terrore che incomincerà a diffondersi tra i bassifondi di una città sempre più in declino.

Una città nella quale l’aristocratico dominio costituito è in evidente stato di crisi e nuovi e insospettabili nemici scalpitano nell’ombra e attendono di affacciarsi sul palcoscenico del potere.

Il Canaletto riuscirà a scovare il colpevole degli omicidi e assicurarlo alla giustizia? Non è mio costume svelare il finale di un testo: dovrete essere voi, affamati lettori, a scoprirlo. Sappiate che non mancheranno i colpi di scena.

Stukul dimostra di avere le carte in regola per beneficiare delle caleidoscopiche luci dell’Olimpo dei grandi. Ciò per tutta una serie di ragioni: anzitutto, l’importantissima e attentissima opera di ricerca (documentata schematicamente in appendice al romanzo) svolta sulla città di Venezia, sulle popolazioni stanziali dell'epoca (1729), sui miti e le leggende dell’est Europa tramandate fino ai nostri giorni e che hanno riempito pagine e pagine di testi di letteratura fantastica. L'Autore non è solamente un geniale affabulatore di estrema perizia, ma è un vero e proprio "tecnico" capace di svecchiare il modo di concepire lo studio e l'approfondimento di alcuni periodi della storia sconosciuti ai più.

Nulla da eccepire per quel che attiene lo stile: sempre preciso e in grado di trasmettere alla narrazione un ritmo incalzante e mai monotono. A tratti poetiche sono le descrizioni ambientali, coraggiosi i riferimenti ai capitali vizi dei soldati e del popolo minuto della laguna (vedi il capitolo "Da Roko"). L’utilizzo del punto e delle brevi proposizioni, inoltre, lasciano al lettore uno stuzzicante senso di tensione idoneo a rendere la lettura piuttosto interessante.

Prendendo le mosse dal famosissimo aforisma di Thomas Mann che definisce Venezia quale "beltà lusingatrice e ambigua; racconto di fate e insieme trappola per i forestieri", Strukul costruisce un romanzo che esprime appieno ognuna delle caratteristiche messe in luce dal tedesco: una città costruita sul misticismo di arcani da svelare come fossero le tessere di un puzzle, nella quale le vacue illusioni prodotte dalle acque appaiono come "nastri d'argento", dove le strade e le piazze accolgono in un abbraccio storie di uomini e donne, di mostri e visioni e dove ponti e canali divengono passaggi segreti verso l'Oltremondo.

Concludendo, riporto alcune mie brevi personali considerazioni.

Mi è sembrato di scorgere una sorta di comunanza tra le figure della baronessa Orsolya Esterházy e di Olaf Teufel e quelle di Laura Ricci e Reinhardt Schwartz (feroci antagonisti della famiglia fiorentina ne I Medici).

Le due coppie sono indubbiamente legate da sentimenti differenti, eppure ho riscontrato in entrambe la stessa brama di potere, di riscatto, di assoluta supremazia del femmineo: sono le donne a tessere alleanze, a studiare piani di azione, ad aspirare al riscatto della loro esistenza, a imporre il proprio volere, mentre gli uomini non sono altro che strumenti mortali, pedine di una partita molto più importante.

Affascinante è il gioco di luci della copertina: il contrasto tra i colori della notte (il nero, il cobalto, il blu scuro) e quelli pastello del pieno giorno (magnifici i contorni della città sullo sfondo) saltano immediatamente all'occhio del pubblico che viene attirato definitivamente in trappola dall'inquietante figura di nero vestita che si erge in primo piano poco al di sotto del titolo.

Altra chicca è il delicato tratteggio della personalità di Rosalba Carriera: pittrice settecentesca straordinaria, donna estremamente dotta e forgiata da anni di esperienza. Una professionista in piena regola quando, affetta da malanni agli occhi, confida all'amico Canaletto di sperare di avere tempo a sufficienza per preparare le sue allieve al futuro poiché la sua attività «è un modo, dopotutto, per perpetuare la ricerca, per far sì che quanto abbiamo fatto non vada del tutto perduto».

Le parole fatte pronunciare alla Carriera così ammantate di malinconia, eppure così estremamente significative, credo appartengano direttamente allo stesso Strukul quando, nei ringraziamenti finali, così chiosa:«Un abbraccio e un ringraziamento infinito a tutte le lettrici, i lettori, le libraie, i librai, le promotrici e i promotori che vorranno dare fiducia a questa mia nuova opera. Il futuro della letteratura è nelle vostre mani».

Se posso permettermi, caro dottor Strukul, anche nelle sue e, un domani, spero umilmente anche nelle mie.

Ilina Sancineti

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