RICORDANDO MICHELA MURGIA: ACCABADORA
La scomparsa della scrittrice Michela Murgia avvenuta quest'oggi, portata via da una terribile malattia a soli cinquantuno anni, ha sicuramente lasciato un senso di profondo sgomento e di dolore in tutti coloro che credevano nel suo lavoro di artigiana della parola. Sicuramente lo ha lasciato in me.
Proprio qualche giorno fa, ho terminato la lettura del suo famoso lavoro: Accabadora, Einaudi Edizioni.
Prima ancora che mi arrivasse il senso e la profondità dell'agrodolce crescita esistenziale di Maria Listru, la protagonista del romanzo, ho apprezzato il tratto leggero e fluido della penna dell'Autrice, il coraggioso utilizzo delle espressioni popolari, la ricchezza del suo linguaggio che non è mai scontato e mai retorico.
La vicenda è ambientata in terra sarda, precisamente nel piccolo borgo di Soreni. Maria è l'ultima arrivata tra i Listru: una famiglia umile ed in evidenti ristrettezze economiche.
Sua madre, vedova da tempo, decide di farla diventare fili'e d'anima della ormai non più giovanissima Bonaria Urrai: sostanzialmente, una sorta di adozione tacita e primitiva, molto praticata in tempi non proprio lontanissimi anche nel Meridione d'Italia quando, nelle famiglie sulla soglia della povertà, le bocche da sfamare divenivano troppe e le possibilità di sopravvivenza di tutti i membri si riducevano sensibilmente.
"Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia"
Bonaria Urrai è l'accabadora di Soreni: la sua "missione" è quella di porre fine materialmente all'esistenza di quelle anime che, seppure prossime al trapasso, per le ragioni più varie, non riescono a staccarsi dalle proprie spoglie mortali e attendono in uno stato di sospensione tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Maria non è a conoscenza della macabra attività esercitata dalla tzia e, credendola una sarta molto abile, per molti anni giustifica le sue inspiegabili fughe notturne, vive in casa sua, si ciba alla sua mensa, studia, cresce assieme all'inseparabile amico Andrìa Bastìu.
E' il tragico incidente accaduto a Nicola, fratello maggiore di Andrìa, prima a gettare ombre sulla vera identità di tzia Bonaria e poi a rivelarla crudelmente che convinceranno la giovane e inesperta Maria ad allontanarsi dall'arretratezza sarda degli anni Cinquanta per cercare fortuna a Torino nel tentativo di cambiare il senso del proprio destino.
"Schiacciato dalla sua leggerezza, si lasciò scivolare per terra e raccontò tra le lacrime ogni cosa della notte appena trascorsa; mentre Maria ascoltava incredula le sue parole, nessuno dei due percepì come in quella casa si stesse consumando in spazi diversi il pianto funebre non di una, ma di tre perdite: il respiro di Nicola, l'innocenza di Andrìa, e la fiducia di Maria Listru in Bonaria Urrai".
Ma il destino è spesso beffardo e, in talune occasioni, guida i passi dei viaggiatori terrestri esattamente al loro punto di partenza. Ed infatti, la permanenza nella lussuosa abitazione dei Gentili, nella quale Maria è stata nel frattempo assunta come bambinaia, durerà poco tempo.
A richiamarla a Soreni sarà il sopravvenire di due spiacevoli vicende: il licenziamento in tronco da parte dei Gentili e la malattia improvvisa di Bonaria Urrai.
Desiderosa di assisterla fino all'ultimo respiro per renderle omaggio, Maria si vedrà costretta a compiere una scelta atroce e farà proprie le parole che la tzia le rivolse tempo addietro: "Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo".
Quest'opera della Murgia, tra l'altro vincitrice nel 2010 del premio Campiello e del premio Mondello, può definirsi monumentale: impeccabile nelle descrizioni, stilisticamente perfetta, innovativa e coraggiosa nei contenuti. Ho amato la narrazione degli spaccati di vita popolare sarda, molti dei quali ormai andati irrimediabilmente perduti.
Ciao, cara Michela. Ho l'enorme rammarico di non aver mai avuto il privilegio di incontrarti.
La tua penna mancherà a tutti coloro che amano la buona letteratura italiana.
Ilina Sancineti
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