IL FABBRICANTE DI LACRIME DI ERIN DOOM: UN ROMANCE INSOLITO.

Approcciandomi a questo testo, devo ammettere che mai copertina e relativa quarta furono più ingannevoli di quelle che corredano Il Fabbricante di lacrime della italianissima Erin Doom, edito da Salani.  

Acquistato per pura curiosità istintiva e convinta si trattasse di un bel fantasy nostrano, mi sono imbattuta, invece, in una struggente e tormentata storia d'amore che sebbene in alcuni punti abbia trovato forzatamente adolescenziale, mi ha conquistata fin dalla prima pagina.

Il romanzo narra la vicenda della giovane Nica e del coetaneo Rigel: due anime per molti versi affini (condividono, infatti, il trauma dell’essere orfani) e per altri diversissime, addirittura inconciliabili.

Nica è una ragazzetta dolce e sognatrice: ama la natura, le cose semplici; sopra ogni altra cosa ha un obiettivo: riuscire a trovare una famiglia che si prenda cura di lei e la ami dopo la perdita dei suoi genitori. Al Grave, l’orfanotrofio nel quale è vissuta a partire dall’età di cinque anni e fino ai diciassette, ha pochissimi amici e riesce a confidare solamente in Adeline, un’altra orfana che soffre le sue identiche pene.

Per molti anni, la timida Nica cresce all’ombra della terribile Margaret Stoker, una tutrice disturbata che non fa altro che vessare e maltrattare all’insaputa delle autorità tutti i bambini. Tutti, eccetto uno: Rigel.

Rigel porta il nome della stella più brillante della costellazione di Orione e vive al Grave praticamente da sempre da quando, cioè, appena in fasce venne abbandonato davanti i cancelli dell’istituto.

L'apatica e triste vita di Nica viene stravolta nel momento in cui, finalmente, una coppia si determina a prenderla in affido: Anna e Norman, i coniugi Milligan, sembrano adorarla sin dalla prima impressione e decidono senza indugi di portarla  a casa con loro ed avviare le necessarie pratiche adottive. Ma Nica non è sola: assieme a lei viene scelto anche Rigel.

Nella solitaria casa Milligan, la convivenza tra i due si rivela veramente problematica già dalle battute iniziali del romanzo: Rigel rifugge con astio qualsiasi tipo di legame, compie spesso gesti inconsulti, a scuola non fa altro che suscitare sospiri e invidie, talvolta è violento con gli altri. Vive in un mondo inaccessibile e scaccia con fermezza chiunque cerchi di fare breccia nelle sue mura di granito.

Tuttavia, Nica non riesce ad odiarlo: è sempre gentile, premurosa, delicata. In lei inizia a fiorire un sentimento al quale non sa dare un nome. Un sentimento che di certo è più vicino all’attrazione che al legame fraterno. Qualcosa che lei percepisce come disastroso, ma che non riesce a reprimere, nonostante si sforzi con tutta se stessa perché non vuole perdere l’affetto e le mille attenzioni che Anna e Norman le riservano quotidianamente, né tantomeno la solida amicizia creatasi con le nuove compagne di scuola: Billie e Miky. Nica non conosce il grande segreto che il fratello adottivo si porta dentro; lo scoprirà col tempo, dopo aver combattuto persino con la morte e man mano che l’autrice condurrà il lettore verso il finale della sua bella storia.

Sebbene lo scritto si presenti come un romanzo d’amore (n.b. chi scrive non ne è affatto attratta), l’ho trovato in alcuni punti davvero commovente.

Ho apprezzato la costruzione dei due protagonisti (la storia di Rigel, in particolare) e di tutta la schiera di personaggi che la Doom tratteggia in maniera ineccepibile. Mai volgari sono gli immancabili momenti di passione che connotano il romance: essi occupano solo una minima parte del testo e non lo "sporcano" con dettagli troppo spinti ai limiti dell'oscenità.

"Così celeste" è Nica, la protagonista femminile: la sua dolcezza mi ha letteralmente sbalordita. Mi sono rivista in lei per quanto attiene alla comunanza di taluni aspetti caratteriali: l’amore e l'attenzione per il piccolo popolo della natura, la gentilezza disinteressata dispensata al prossimo, la determinazione nel raggiungimento dei propri obiettivi. Ad essere sincera, più volte i miei occhi hanno brillato di lacrime durante la narrazione, il che è cosa assai rara per una lettrice estremamente critica e accanita come la sottoscritta.  

  “È la delicatezza, Nica. La delicatezza, sempre… Ricordatelo”.

Nica è fragile come la farfalla di cui porta lo splendido nome e, al contempo, incarna una figura potente che pregna l’intero romanzo: seppure con estremo dolore, ha superato il lutto dei suoi genitori; è capace di domare gli istinti violenti di Rigel e di comprenderne il significato profondo; è sempre disponibile, servizievole; dona amore incondizionato agli esseri del creato ed a tutte le persone che hanno la fortuna di incrociare il suo cammino. In un modo pieno di ombre com’è quello attuale, un personaggio così ben costruito è in grado di riverberare luce e serenità e regalare ai lettori quella scintilla di speranza di cui abbiamo un disperato bisogno.

“Avevo sempre sentito dire che solo un grande potere aveva la forza di cambiare il mondo. Io non avevo mai voluto cambiare il mondo, ma avevo sempre pensato che, invece, non   fossero i grandi gesti o le manifestazioni di forza a fare la differenza. Per me erano le piccole cose. Le azioni quotidiane. Semplici atti di gentilezza compiuti dalla gente comune”.

Se Nica è la faccia luminosa della Luna, Rigel è quella più oscura e tenebrosa: il suo fascino ammaliante è al tempo stesso incantevole e sinistro. Così come da bambino, anche da adolescente tutti hanno timore della sua presenza e difatti lo evitano, lo ammirano da lontano, lo invidiano. Rigel è tutto una mistica afflizione; un tormento che ha un nome: quello del “fabbricante di lacrime”; si duole per uno stigma che si è autoinflitto e che gli altri, a causa dei suoi comportamenti apparentemente ai limiti dell’insania, gli hanno brutalmente cucito addosso.

“Non sopportava la pietà. Non sopportava quegli sguardi, che lo gettavano nella spazzatura del mondo. Non aveva bisogno che gli ricordassero quanto fosse diverso: certe condanne non si scelgono, hanno il colore dei nostri silenzi e il dolore invisibile delle nostre colpe”.

V’è da dire che il testo presenta qualche pecca che presumo vada addebitata all’inesperienza ed all’insicurezza di un’opera prima: anzitutto, le ripetizioni (spesso pedanti) dell’avvenenza di Rigel che l’autrice non manca di sottolineare in ogni momento del narrato e che, a mio modestissimo avviso, appesantiscono la lettura rendendola talvolta mielosa. In seconda battuta, quel che viene in rilievo (in tutti i sensi!) è la mole dello scritto: suppongo che la Doom si sia lasciata prendere la mano dalla vicenda perché si sarebbe potuto dire tutto impiegando molte meno pagine. Ma questa rimane una opinione del tutto personale e che non è in grado di intaccare in alcun modo l'indubbio valore del testo. Il rapporto burrascoso tra Nica e Rigel, il loro continuo sfuggirsi per poi ritrovarsi, i tumulti di spirito, la costante repressione di un sentimento inarrestabile hanno riportato alla mia memoria l'amore tormentato che ha animato le tristi vicende di Heathcliff e Catherine in Cime tempestose.

Complessivamente non mi sento di condannare Il fabbricante di lacrime (come da molti è stato fatto ingiustamente) o di esprimere su di esso un giudizio negativo: al contrario. La lettura è scorrevole, piacevole, interessante. Il linguaggio utilizzato arriva a tutti perché è alla portata di tutti; non presenta sbavature ed è coerente con lo stile narrativo che l’autrice ha deciso di impiegare.

Abbiamo bisogno di freschezza, di qualche istante di tregua da un mondo che ci assale con le sue storture. Letture come queste, sebbene presentino qualche imperfezione stilistica, non possono che fare bene all'animo. Chapeau!

“Da piccola avevo sentito anche che non si può mentire al fabbricante di lacrime. Perché lui ti legge dentro… non esiste emozione che puoi nascondergli. Tutto ciò che di più disperato, straziante e sincero muove il tuo cuore, te lo ha iniettato lui. Quando ero bambina lo temevo come un mostro. Per me non era altro che quello che volevano farci credere: l’uomo nero che se mentivi veniva a prenderti per portarti via. Ancora non sapevo quanto mi sbagliassi. Lo avrei capito solamente alla fine”.

 

 Ilina Sancineti


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