BUON CAMMINO IN QUESTO MONDO, ENEA!


Cosa è giusto fare?

Cosa è sbagliato fare?

Quali sono quegli eventi umani che possano essere qualificati in termini assoluti buoni o cattivi?

In quasi quarant'anni di vita, credetemi, non credo di averlo bene inteso.

Questa turbolenta e vivace esistenza è costellata da innumerevoli vicende, alcune delle quali possono essere ben comprese solo dagli attori protagonisti che, in quel momento, ne stanno attraversando con i propri piedi ed il proprio cuore luci abbaglianti e/o ombre scure. Solo chi vive situazioni drammatiche in prima persona ha il diritto di esprimere il proprio pensiero: non un famigliare, non un amico, soprattutto non un estraneo.

Così è per una malattia, così è per l’elaborazione di un lutto, così è per chi subisce la tragedia della guerra, così è per la nascita (o la non-nascita).

È noto come, talvolta, vengano a generarsi delle incomprensibili influenze astrali che guidano il cammino umano in una direzione ben precisa e spesso, immodificabile: protagonista dell'ultima singolare influenza è il piccolo Enea, paffuto neonato lasciato dalla madre alle cure amorevoli del reparto neonatale del policlinico di Milano.

Io che madre non sono, non ho il coraggio di condannare questo gesto, che pure in moltissimi hanno definito “innaturale”, “egoistico”, “non umano”.

Io che madre non sono, non posso comprendere il dolore di una donna costretta ad una simile rinuncia.

Da donna non – madre e, in quanto tale, spesso qualificata inutile e irrimediabilmente incompleta dal pregiudizio della collettività, lasciate che vi esponga brevemente la mia opinione.

Suppongo che le ragioni che conducano una neo mamma ad una simile decisione siano molteplici e ben ragionate: il piccolo, infatti, non è stato abbandonato come in molti sentenziano, ma è stato affidato a qualcuno che, certamente, avrà modo di occuparsi di lui, di dargli l’affetto che merita, di proteggerlo dalle angherie del mondo. Probabilmente queste stesse tutele non potevano essere garantite dalla genitrice naturale che ha preferito privarsi del frutto del suo grembo nella cieca speranza di offrirgli un futuro migliore.

L’anonimato garantito dalle culle per la vita è prezioso e va rispettato: nessuno deve arrogarsi il diritto di accusare una donna, forse troppo fragile, di aver rinunciato a suo figlio per egoismo; nessuno deve procedere con operazioni di convincimento inutili e propagandate; nessuno deve ritenere questo gesto pari ad un abbandono.

Una madre che compie una scelta simile non è una folle scriteriata: tutt’altro. Ha ponderato con attenzione la propria condizione (probabilmente troppo giovane, troppo spaventata, forse troppo sola) ed ha sicuramente agito con più intelletto di chi dà alla luce esseri umani pur sapendo di esporli scientemente a pericoli certi e tangibili.

Nessuno può conoscere con anticipo ciò che il destino ha in serbo per lui: quello che posso augurare a questo piccolo fagottino è di vivere la vita con tutta la gioia che può permeare un cuore pulsante.

L’Umanità non ha bisogno di lezioni, ha bisogno di comprensione.

Ricordatelo quando, con crudeltà, puntate il dito contro gli altri e rifiutate di considerare il peso della trave che grava nei vostri occhi.

Ilina Sancineti

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