QUANDO IL POLITICALLY CORRECT DIVENTA UN’OPERAZIONE DI MARKETING: IL CASO PUFFIN BOOKS


E’ di pochi giorni addietro la notizia che la famosa Casa Editrice Puffin Books, in accordo con gli eredi dello scrittore visionario Roald Dahl (La fabbrica di cioccolato, Matilde, La magica medicina) ha avviato un’enorme opera di “lifting narrativo” ai propri testi con l’intenzione di eliminare alcuni termini che offenderebbero talune categorie di persone.

Leggendo l’articolo incriminato, credetemi, non so se darmi al riso leggero o alle lacrime amare.

Dal mio punto di vista ritengo questa decisione a dir poco assurda e ciò per almeno due ordini di ragioni.

La prima: ogni libro è figlio del suo tempo e, come tale, rispecchia il pensiero di un determinato periodo storico e di uno specifico macrocosmo culturale. In altre parole, cristallizza il modo di essere e di esprimersi della società di un momento specifico.

Pensateci: come apparirebbe una “nuova” (ed a mio avviso blasfema) riscrittura dei Promessi Sposi se privati delle figure di Don Rodrigo (signorotto facinoroso, violento e con la smania della sopraffazione fisica e morale della donna), di Don Abbondio (che si sottomette alla tirannia del più forte e potrebbe richiamare i “picciotti” della criminalità organizzata) e della Monaca di Monza (che farebbe leva sulla corruzione e sulle perversioni di certi ambienti ecclesiali quelli sì, da censurare).

Ed ancora, pensate al Verga quando utilizza espressioni forti e più che colorite per dipingere le sue donne in Rosso Malpelo o nei Malavoglia.

Per non parlare di scrittori internazionali del calibro delle sorelle  Brontë, di Charles Dickens (avete mai letto Oliver Twist, dove primeggiano termini come stupido, sciatto, povero, accattone?) e dei contemporanei Stephen King o J.K. Rowling (i babbani di Harry Potter sono discriminati da alcune categorie di maghi).

Davvero, non esageriamo.

Altra ragione di fondo è legata a questa “censura intellettiva indiscriminata”: per rispondere alle ragioni della nuova società che ci vuole tutti omologati, tutti rispettosi (di chi? Di cosa? In che maniera?), tutti solidali e fraterni gli uni con gli altri (ne siete davvero certi?) si sta degenerando in una deriva di “libertà al contrario”, nel senso che tutti possono parlare di tutto, ma entro determinati limiti che sono preimpostati da questa generazione liquida e (falsamente) inclusiva. Così la normalità è divenuta anormale e (per citare Alice nel Paese delle Meraviglie) si è creato un mondo dove ciò che non è, sarebbe.


La nostra lingua è un meraviglioso agglomerato di sinonimi, di avverbi, di aggettivi, di verbi: perché mai il termine grasso o povero e dovrebbe offendere qualcuno se poi i media, il mondo virtuale e la vita quotidiana sono pregni di epiteti volgari, di situazioni al limite della decenza?

Per ciò che mi riguarda, mi sentirei più offesa se un famigliare o io stessa subissimo atti di bullismo e le istituzioni preposte non facessero nulla per interrompere il trattamento offensivo, non certo se qualcuno mi dicesse che sono “troppo grassa, troppo magra, poco intelligente, poco simpatica”.

Se il progetto di “lifting” che la CE londinese ha deciso di mettere in piedi si basa esclusivamente sulla moda del momento del politically correct, per la sottoscritta, ha errato clamorosamente.

Le mode passano, la cultura resta.

In una società democratica che sta sempre più scivolando nell’anarchia più completa, se stabilissimo una volta per tutte che cosa sia la normalità, quali siano i limiti e se, e quali termini o quali azioni, possano essere censurati oppure no, temo che da questa scelta obbligata ne usciremmo decisamente peggiori.

 Ilina Sancineti

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