FAMIGLIA E SCUOLA: DUE ISTITUZIONI SEMPRE PIU' IN SOFFERENZA. IL FENOMENO DELLE BABYGANG


Credo che il buon Albert Einstein avesse ragione quando sosteneva di aver timore del giorno in cui la tecnologia si sarebbe spinta oltre l’umanità, perché in quello stesso momento il mondo si sarebbe popolato di generazioni di idioti. Non sono minimamente in disaccordo con questo assunto, seppur forte nella sua formulazione.
Un po' per via della professione che svolgo, principalmente per le relazioni sociali che mi circondano, non posso fare a meno di notare quanto l’umanità si sia imbarbarita, abbruttita. 
Bambini griffati dalla testa ai piedi non conoscono nessun altro argomento se non la maleducazione verso gli altri, nei gesti e nelle parole. Orde di ragazzini vagano per le strade all’uscita di scuola senza curarsi di niente e di nessuno, rischiando molto spesso di essere investiti dalle auto poiché incantati dal mondo virtuale proiettato dai propri cellulari.  Moltissimi genitori hanno perduto l'ottima (e salutare!) abitudine di seguire i propri figli nei percorsi indispensabili alla loro formazione, preferendo la confort zone delle applicazioni del cellulare, della didattica a distanza o della formazione demandata ad altri (ripetizioni private, doposcuola e così via).

Da testimonianze di amici insegnanti viene fuori un report annuale spaventoso: il rapporto scuola-famiglia, fino ad un paio di decenni fa, costante essenziale per monitorare lo “stato di salute” del proprio figliolo tra i banchi di scuola, è ormai prossimo all’annientamento. Quel che resta è ancorato alla coraggiosa buona volontà di quei pochi docenti che ancora credono che l'insegnare non sia solamente una professione che a fine mese ne rimpingui le tasche ma sia, invece, una leva di salvezza sostitutiva quando quella famigliare manchi o non sia sufficiente. Una missione, in altre parole. 

Quelli che dovrebbero rappresentare dei modelli da imitare per le nuove generazioni non solo sono privi di contenuto (i social ne ribollono!) ma, addirittura, finiscono col diventare un detonatore d’odio, di rancore, di quell’insicurezza che si trasforma in prevaricazione sul più debole.

Di questa decadente condizione culturale i ragazzi non fanno altro che assorbirne la forza e gli esempi negativi che alla stessa si accompagnano, come le cavallette alle sette piaghe d'Egitto. Arrivano a fare gruppo a danno dell’innocente e spesso traggono bieco divertimento dal mettere in pratica atti ai limiti dell’umanità. La cronaca ne è piena: le baby-gang danneggiano attività commerciali, commettono violenze verso i disabili, vomitano ingiurie impronunciabili contro chi non fa parte del branco, si rendono colpevoli di atti osceni.

E se prima, soprattutto intorno agli anni Novanta, questo fenomeno era limitato a certi ambienti di particolare degrado sociale, allo stato attuale è divampato alla stregua del peggiore degli incendi australiani, arrivando a coinvolgere anche i rampolli delle cosiddette famiglie dabbene, coloro che hanno tutto ciò che potrebbero desiderare e per i quali la violenza diventa un’inconcepibile valvola di sfogo; qualcosa che molto si avvicina al film Arancia Meccanica di Kubrik, in stile contemporaneo. 

Lungi da me esaminare nel dettaglio le cause che hanno generato un simile decadimento (non sono una sociologa, né una psicologa) ritengo che vi sia un’unica soluzione da adottare: la più semplice ed al contempo la più difficile.
E’ necessario tornare a dialogare veramente con i giovani (non con un occhio rivolto alla chat degli amici di merenda o all'orologio per l'appuntamento dall'estetista). Per comprenderne le difficoltà e cogliere i campanelli d’allarme che si manifestano nei cambiamenti caratteriali bisogna riscoprire il valore di quelle relazioni che costituiscono il nucleo della primigenia umanità.

Nessuna baby-sitter, nessuna educatrice, nessun influencer (con sommo rispetto per queste professioni!) saranno mai in grado di colmare le loro mancanze come riusciva (e auspico riesca a fare nel futuro) la famiglia.
In questo mondo instabile e folle chi decide di avere dei figli deve farlo scientemente e memorizzare la parola responsabilità: i figli richiedono sacrifici, cure costanti, attenzioni e ciò non solo nei primissimi anni di vita. Crescere un bambino, donarlo al mondo, significa anche e soprattutto fargli conoscere i pericoli insiti nel vivere assieme agli altri. Non si può sempre proteggerli impedendo il contatto con il prossimo, così come è innaturale non imporgli dei limiti, delle censure. Educarli a distinguere il bene dal male e viceversa.

I genitori devono tornare ad assolvere ai propri compiti lasciando da parte tutto ciò che è superfluo. 
Devono partecipare attivamente ai momenti di crescita dei loro ragazzi, supportarli quando si palesano difficoltà, anche rimproverarli aspramente, se e quando necessario. Gli atteggiamenti giustificativi di comportamenti non consoni al vivere civile sono antieducativi ed estremamente dannosi.


Tornare a dialogare con la scuola è un primo passo verso la redenzione della specie: nessun insegnante svolge la propria attività con l’unico scopo di umiliare, maltrattare, ghettizzare i ragazzi. Smettiamola con lo stereotipo del docente che dà un'insufficienza a casaccio e terrorizza gli allievi. Vi assicuro che molto spesso accade il contrario!
In un contesto contemporaneo così difficile, scuola e famiglia hanno il compito fondamentale di creare la nuova umanità, nella speranza che questa non si trasformi, come teorizzava Albert Einstein, in una generazione di idioti.  

Ilina Sancineti

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