Come avevo anticipato giorni addietro, il 22 maggio
scorso ho avuto il grandissimo privilegio di essere ospite, assieme alle mie tre
amatissime creature (Decimus, La Torre rossa e Il Depositario del Tempo), del
Salone del libro di Torino.
Si tratta, indubbiamente, di una delle più importanti
manifestazioni librarie italiane ed internazionali capace di attirare persone
da ogni angolo della penisola (e non solo). Se consentite il paragone, una
sorta di Festival di Sanremo per tutti gli scrittori.
Quest’anno, tra l’altro,
complice il desiderio di ripartenza dopo il lungo periodo di buio legato alle proibitive
condizioni sanitarie, l’evento ha avuto una portata di visitatori a dir poco straordinaria (i numeri ufficiali parlano di quasi 170 mila presenze!).
Personalmente posso considerarla una delle esperienze più gratificanti
(ed impegnative!) della mia vita, persino capace di obbligarmi a vincere la fastidiosa e talvolta invalidante, paura del vuoto. Non si tratta di un punto d’arrivo, al contrario, lo considero uno snodo vitale per la carriera letteraria di uno scrittore.
Il fatto che la meravigliosa e verdissima Torino sia una
delle città più organizzate d’Italia è incontrovertibile, ma ciò che i miei
occhi da autrice emergente proveniente da un piccolo borgo hanno visto in
questi giorni è stato a dir poco strabiliante: ogni settore del Salone è stato
studiato alla perfezione ed è stato modellato per rispondere alle esigenze di
tutti.
Negli ampi padiglioni del Lingotto, fruibili e per nulla
dispersivi, era possibile individuare ogni sorta di volume, dal fantasy allo
storico, dal classico impegnato a quello più leggero. Erano operativi a pieno regime laboratori di
scrittura, di disegno, intrattenimento per bambini, angoli studiati
appositamente per accogliere le scolaresche ed un personale preparato per far
fronte ad ogni richiesta. Insomma, un Alto Oltremondo per i lettori più
accaniti!
Soprattutto i giovani, la cui presenza ( e ne sono
entusiasta) ho trovato fosse di gran lunga superiore a quella delle fasce d’età
adulta, non si sono fatti sfuggire l’occasione di presenziare a questo
importante evento e ne hanno sfruttato tutti i punti di forza, attirati anche dalla
possibilità di ascoltare le considerazioni di personalità di spicco, quali (per
citare solo le pochissime che anche la sottoscritta è riuscita ad intercettare)
Alessandro Gassman, Ermal Meta, Walter Veltroni, Francesca Fialdini, Pacifico.
Costruttivo è stato lo scambio con altri scrittori,
calabresi e non, che ho avuto il piacere di incontrare per la prima volta e, soprattutto, con la talentuosa Valeria Chiaradia con la quale abbiamo dialogato assieme al
pubblico.
Lo stand della Regione Calabria destinato ad accoglierci era presidiato da personale preparato ed adeguato e, sebbene i momenti a nostra
disposizione siano stati veramente pochi (gli autori da ascoltare erano davvero
tantissimi!), entrambe con i nostri lavori siamo riuscite ad accendere i
riflettori su una Regione troppo spesso bistrattata. Troppo spesso anche da
parte degli stessi calabresi che poco credono, che poco investono e poco
riconoscono le virtù artistiche dei propri conterranei.
Subito dopo l’introduzione dell’editore de La Mongolfiera,
Giovanni Spedicati, ho illustrato ai presenti i punti salienti della trilogia,
sottolineando come la famiglia Mèvelo, protagonista indiscussa dei volumi, sia
solamente una vittima inconsapevole dello scorrere del tempo e che solo dopo
innumerevoli peripezie riuscirà a trovare la propria redenzione. Al momento
dei saluti conclusivi è stata concessa alle autrici la possibilità di rilasciare persino un breve clip video che presto verrà trasmesso sulle reti nazionali.
Mancare a questo Salone, così ricco, così denso di emozioni,
pianificato alla perfezione sarebbe stato un sacrilegio. Un sacrilegio che non
ho voluto commettere.
Ilina Sancineti
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