ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS DI UGO FOSCOLO - CONSIDERAZIONI SULLA MAGNIFICENZA DI CERTI AUTORI ITALIANI

Vi sono alcuni testi che si è soliti inserire nei programmi scolastici e che, non di rado, complici la forma mentis non ancora matura degli studenti e, talvolta, (permettetemi, senza polemica!) l’inettitudine di taluni insegnanti, finiscono per essere letteralmente odiati anche dalla platea più preparata degli allievi.

È così che, almeno per alcune opere, sarebbe opportuno riproporne la lettura in un momento successivo della vita, semplicemente perché in questo modo si è in grado di comprenderne appieno il senso e la bellezza.

Ciò è esattamente quello che ha fatto la sottoscritta con questo volumetto (solo dal punto di vista della consistenza materiale) di Ugo Foscolo della Bompiani, tra le edizioni speciali de L’Espresso di cui ho particolarmente apprezzato anche la delicatezza della copertina che reca riprodotta l’opera del Maestro francese Théodore Géricault Ritratto di un artista nel suo studio, esposta al Louvre di Parigi.

Ultime lettere di Jacopo Ortis è uno di quei classici intramontabili della letteratura nostrana da riprendere, come ho scritto pocanzi, quando si è certi (o quasi!) di possedere quella preparazione culturale tale da consentire di arrivare ad amare incondizionatamente ciò che in tempi remoti si è ritenuto un superfluo e noioso esercizio scolastico.

Le vicende del giovanissimo Jacopo Ortis si susseguono in un lasso di tempo compreso tra l’ottobre 1797 ed il marzo 1798 e vengono narrate sotto forma di epistole dal tono quasi colloquiale che l’Ortis scrive all’amico Lorenzo Alderani.

Durante questo anno, Jacopo sperimenterà il dolore per lo strazio subito dalla sua Patria ed in modo particolare dalla città di Venezia, soggiogata dal dominio austriaco e quello, ancora più forte, dell’amore corrisposto, ma impossibile per la dolcissima Teresa, giovinetta già promessa dal padre al nobile Odoardo per sopperire alle difficoltà economiche della famiglia T*.

Per sfuggire a cotanto sentimento folle e profondissimo che, per perfidia della sorte una volta sbocciato non potrà mai crescere e sarà destinato ad avvizzire, Jacopo inizia a vagare come un disperato tra una città e l’altra del nord Italia: corre a Bologna, poi a Firenze, poi a Milano, a Genova, a Ventimiglia, addirittura spera di recarsi in Francia, ma nulla riesce a pacificare il suo animo.

Alla fine, ormai consumato nel corpo e stremato nell’intimo, rientra presso i Colli Euganei arrendendosi al suo sfortunato destino.

Ciò che il Foscolo scrive non può non toccare le corde dell’anima, persino di quelle rese più dure dall’amaro dell’esistenza: "Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena sento di vivere. Così quand’io mi desto dopo un pacifico sonno, se il raggio del Sole mi riflette su gli occhi, la mia vista si abbaglia e si perde in un torrente di luce".

Numerosissime sono queste liriche tramutate in prosa così come meravigliose appaiono le ambientazioni naturalistiche nelle quali il Foscolo manifesta al lettore la sua disarmante potenze descrittiva: "Su la cima del monte indorato dà pacifici raggi del Sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli sù quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero imposti sugli altri".

Molti lettori colgono nella figura di Jacopo Ortis un personaggio tristemente inetto, negativo, lamentoso, incapace di reagire ed in rotta di collisione con la vita. In verità, invece, vi ho trovato un senso di stretta connessione con l’insicurezza ed il disagio dei giovani contemporanei che avvertono così forte su di loro ogni influsso esistenziale tanto che, a volte, arrivano ad esserne travolti.

In definitiva, Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo appare come una lettura sufficientemente complessa ma estremamente meritevole e degnissima di occupare un posto di rilievo nel panorama culturale italiano.

   

Ilina Sancineti

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