CASO STEFANO CUCCHI: FINALMENTE IL PUNTO.

 

Il 5 aprile scorso si è finalmente conclusa una delle peggiori vicende di cronaca giudiziaria degli ultimi anni e si è fatta piena luce su un caso ormai tristemente noto. Mi riferisco alla vicenda del geometra romano Stefano Cucchi che perse la vita nel 2009 mentre si trovava sottoposto alla custodia cautelare perché trovato in possesso di stupefacenti.

Lungi da me analizzare in questa sede il merito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione che ha condannato gli ormai non più presunti colpevoli, volevo solamente offrire ai miei pazienti lettori qualche considerazione.

Da quel 22 ottobre 2009 sono trascorsi ben tredici anni; anni in cui l’opinione pubblica ha avuto modo di conoscere, seppure solamente attraverso i media, una famiglia unita e fortemente desiderosa di giustizia.

Una famiglia distrutta presa per mano soprattutto da una giovane donna, Ilaria, che non si è mai arresa davanti a quello che a tutti i costi si voleva far passare, con l’utilizzo dei più svariati espedienti, per qualcosa di diverso da ciò che fosse in realtà.

Una donna, Ilaria, la quale sebbene annientata dal dolore e derisa dai più (vi risparmio le offese e gli ignobili appellativi che le hanno rivolto sui social) ha avuto il sangue freddo di esporre in pubblico una gigantografia personalissima del corpo martoriato dalle violenze del proprio fratello, affinché tutti sapessero cosa fosse successo in quella caserma romana.

Una donna, Ilaria, una famiglia, i Cucchi, che hanno avuto il coraggio di “sfidare” apertamente uno dei corpi scelti dello Stato, quello dell’Arma dei Carabinieri, per affermare il proprio diritto di conoscere la verità sulla sorte di un proprio consanguineo.

La loro vicenda con le doverose divergenze m’ha ricordato quella di Franca Viola, la giovane siciliana violentata da quello che era stato il suo fidanzato e che rifiutò il matrimonio riparatore allora tanto in voga (siamo nella Sicilia del 1965) per evitare l’oltraggio all'onore suo ed a quello della sua famiglia.

Franca Viola non si è piegata davanti alle aberranti critiche della società e non l’ha fatto neppure Ilaria Cucchi. Le due storie collimano in un punto: la sfida allo Stato e la sfida contro un pregiudizio.

Il pregiudizio di cui Stefano Cucchi è rimasto vittima perché, in fondo, un tossicodipendente non avrà mai la possibilità di riscattarsi, non la deve avere. Per la collettività non è altro che un rifiuto da eliminare, un inutile peso.

Non conosco le assurde ragioni che hanno condotto i carabinieri  ( ora condannati ) a fare scempio di quel povero giovane. Non so neppure perché i loro colleghi non abbiano denunciato immediatamente quello scandaloso abuso di potere e si siano fatti travolgere dal panico. Entrare nell'Arma dei Carabinieri è una missione, ma non tutti gli individui la considerano tale.

Con ciò non intendo demonizzare l’intero Corpo, tutt’altro. Nel momento storico attuale emerge fortissima l’esigenza di protezione e non solo dal crimine in senso letterale.

Occorre individuare figure istituzionali che diano prova di poter contare sulla loro presenza, sulla loro vigilanza sui territori più difficili, sul loro aiuto quando e dove è necessario.

Senza legge e senza rappresentanti della legge la nostra civiltà finirebbe per sprofondare nella più completa anarchia (totale assenza di regole del vivere civile) e credetemi, in questo momento non possiamo davvero permettercelo.

Adesso Stefano Cucchi ha avuto giustizia e riposa in pace. La sua famiglia può finalmente deporre le armi.





  
 Ilina Sancineti



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