7 FEBBRAIO, GIORNATA MONDIALE CONTRO IL BULLISMO ED IL CYBERBULLISMO: ALCUNE RIFLESSIONI PERSONALI
Nella giornata dedicata alla lotta al bullismo ed al cyberbullismo volevo permettermi di spendere due parole (sia chiaro prive di qualsivoglia peso scientifico, sociologico, psicologico) su questo fenomeno, riportando delle personalissime riflessioni legate al mio trascorso adolescenziale.
In questa nostra epoca iperconnessa, ipertecnologica,
ipersocial dove tutto sembra concesso, dove tutto deve essere necessariamente
circondato dall’aura spesso immotivata dell’ironia, alcuni atteggiamenti anziché
essere avversati e puniti sono divenuti impensabilmente giustificabili.
Specchio dei tempi, direte voi? Riflessione opinabile, a mio avviso.
In verità, alcuni di questi comportamenti hanno radici storiche
per nulla recenti. Ad esempio, ricollegandomi alla mia esperienza negli oramai
sempre più distanti anni novanta, essere sé stessi e non uniformarsi alla massa
costituiva il problema più grande che una ragazzetta di quindici anni potesse
avere.
Per chi era convinto di avere potere assoluto sugli altri e
sfruttava il suo ascendente superbo che non di rado manifestava inclinazioni
violente, essere una ragazzina timida e dedita allo studio, di media estrazione
sociale, poco avvenente, che amava frequentare lo stesso gruppo di amici, usciva
di rado, vestiva in un certo modo, parlava e pensava in un certo modo, era perenne
motivo di scherno.
Non è stato facile trascorrere per cinque anni le sei canoniche ore di
lezione districandomi tra cartacce lanciate sul proprio banco, ascoltando gli
infondati pettegolezzi cattivi che i “compagni” erano capaci di pronunciarmi
contro, oppure sentendo bisbigliare dal ribelle di turno: "La prossima volta
che non scioperi con noi te meniamo", o anche: "Sei un’asociale insignificante,
non andrai mai da nessuna parte".
Ma non per tutti è così. Qualcuno questi momenti non riesce
a superarli mai: se li trascina dietro come fossero una zavorra che non ha
forza di slacciare dalle caviglie, s’adombra, si chiude in sé stesso, s’infragilisce,
cade e si perde per sempre.
Suppongo che il bullismo (oggi affiancato dall'ancora più insidioso e subdolo cyberbullismo)
sia sempre esistito: è insito in quelle strutture sociali dove il più forte
deve soverchiare il più debole perché se non lo fa, diventa debole a sua volta,
una sorta di perverso gioco dei mari dove pesce grande mangia pesce piccolo.
Non è una questione di tempi guasti, di società becera, di
ragazzi sbandati, di famiglie assenti, di docenti senza spina dorsale.
Il vero problema, piuttosto, va rinvenuto nell’assenza di un
generale modello di riferimento del vivere civile: certi comportamenti si
vedono, non passano inosservati, ma è più facile sbeffeggiarli, riderne insieme
agli autori addirittura, anziché censurarli. Certe situazioni non andrebbero
ridimensionate (com’è comodo oggi questo termine!), andrebbero affrontate
esattamente per quello che sono, qualificate col loro nome proprio. Andrebbero
combattute, senza se e senza ma.
E così troviamo da un lato i caduti, le vittime (e no, non è
un eufemismo! Come dichiaravo prima, le cose devono essere qualificate col loro
proprio nome) sempre più emarginate nelle tenebre della loro incompresa solitudine,
per le quali si spezza sempre una lancia, ma non si fa mai abbastanza.
Dall’altro lato, invece, ci sono i bulli, gli intoccabili apprezzati
galletti del pollaio, ai quali tutto è permesso perché “sono ragazzi” e poi, accanto a loro, di sbieco, coloro
che stanno a guardare, che rimangono impassibili, restano in silenzio. Gli
Ignavi del Sommo Dante Alighieri.
Tra queste due ultime categorie, chi sono davvero i peggiori?
Dovremmo svegliarci una volta per tutte e fare ciò che
sarebbe giusto fare: tutelare e proteggere chi si trova in uno stato di disagio,
di difficoltà, di crisi. Qualunque esso sia, qualunque natura esso abbia.
Parlate sempre ragazzi, sfogatevi, apritevi con chiunque sappia ascoltare i vostri sentimenti e comprenda il vostro cuore.
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